mercoledì 5 giugno 2013

Missione è un cuore che ribolle dentro...

Padre Filo è missionario comboniano, il cui motto di vita è "sulla strada con il Vangelo, il pane spezzato e i poveri". Originario dell’Emilia Romagna è “ribattezzato” Loba Loba dal popolo Mbay e Ab'digin (il papà barbuto) dai fratelli e sorelle musulmani. Insieme a tre confratelli vive la sua vita missionaria in un posto sperduto nel profondo sud del Ciad, dove ha vissuto già due anni prima dell’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 2011.

Nella Galilea del suo tempo Gesù di Nazaret soffre come un matto per l’impoverimento della sua gente. Oppresso da tre tasse che schiacciano, indebitato fino al collo, il popolo non ce la fa più. Con un ferreo regime coloniale romano che stronca sul nascere ogni tipo di contestazione e un sistema religioso che alimenta ingiustizia e diseguaglianza, al limite della soglia di povertà, il popolo è smarrito e attorniato da un’atmosfera di morte. Come la donna vedova, simbolo nella Bibbia dei poveri, insignificanti e indifesi, in compagnia degli orfani e degli stranieri. Ha perso tutto, il marito e l’unico figlio. Sono poche le madri che in Africa hanno un solo figlio. Malattie, imprevisti vari, onore sociale e necessità di braccia per i campi dettano l’urgenza di moltiplicare la prole. Intanto la donna di Nain è disperata e piange.

Come il popolo del Darfur, decimato dalle razzie dei “janjawid” i guerrieri a cavallo del presidente sudanese Al Bashir, che vuole fare piazza pulita e accaparrarsi l’oro della regione dopo aver perso il petrolio del sud. Cinquant’anni di vita dell’Unione Africana non sono serviti a molto, se i Paesi non riescono insieme a intervenire e dare soluzioni a conflitti laceranti (Congo RDC, Centrafrica, Mali, Somalia, Darfur...). Dall’inizio dell’anno quasi trentamila sudanesi del Darfur si sono rifugiati in Ciad dove vengono accolti nei campi profughi di Goz Beida, Tissi e Guereda. “Avevo fame, ero nudo, ero forestiero...”. La comunità cristiana di Abeché, che accoglierà presto una nuova equipedi missionari comboniani, si fa carico con coraggio di questi sfollati, provando a fare causa comune con chi ha perso terra e casa. E molti anche familiari, figli o parenti.

Come gli sfollati di Toukra, alle porte di N’Djamena: rischiano di dar vita alla prima baraccopoli ciadiana. Cinquemila persone hanno perso tutto con le grandi alluvioni dello scorso anno e sopravvivono in capanne di paglia e teloni in attesa di un aiuto del Governo, in condizioni indegne di vita, con un caldo sovraumano, senza bagni, con scuole di fortuna crollate con l’ultima tempesta di sabbia e con il rischio delle prossime piogge; provano a resistere, con la forza che può venire solo dallo Spirito, quello di Pentecoste, che abbiamo invocato a lungo nell’Eucarestia sotto i teloni. Una donna ha fatto una preghiera che mi ha ‘steso’ e mi son detto che se il Padre-Madre di tutti non ascolta questa, allora meglio fare le valigie:

   “Papà, noi siamo come il popolo di Israele, schiavi sotto le tende, in situazione indegna, di oppressione, tu ascolti il nostro grido, tu conosci la nostra sofferenza vieni a liberarci dal nostro Egitto e portaci con te nella Terra Promessa...”
Gesù nell’incontro con la donna che rappresenta il suo popolo allo stremo si sente ribollire le viscere, si lascia toccare dentro con l’intensità di quell’amore che solo l’evangelista Luca è capace di dipingere così bene: come il cuore dello straniero (da noi sarebbero i nomadi Mbororo o i musulmani) che si prende cura del moribondo sulla strada (Lc 10,33) e quello del Padre-Madre misericordioso che attende il ritorno del figlio minore (Lc 15,20). Cuori pazzi, capaci di cambiare il corso degli eventi perché osano andare e sognare oltre.

Gesù si avvicina alla bara e la tocca. La sua è una sfida perché cadaveri e oggetti circostanti non potevano essere toccati. Ma la morte non può contaminarlo perché con lui non ha potere. E’ soltanto un passaggio, quello decisivo, per far fiorire in pienezza la vita. Non si diventa impuri nel contatto con la morte o con i diversi. Quando i musulmani, vicini di casa o gli amici della Tenda di Abramo a N’Djamena (centro culturale e luogo di incontro islamo-cristiano) mi invitano a mangiare con loro non esito un attimo a lavarmi le mani, mettermi in cerchio e attaccare il piattone unico. Con la gioia di sentimi un po' di più uno di loro.

Gesù invita il figliolo a ridestarsi, “in piedi” come piaceva a don Tonino Bello (quest’anno ricorre l’anniversario dei 20 anni dalla sua morte) incoraggiare i costruttori di Pace, ridà fiato e speranza al popolo, con una Parola che ha il sapore della tenerezza. Quella di Padre Pino Puglisi (martire e fatto beato anti-mafia da una settimana) con i suoi ragazzi di Brancaccio. Tenerezza capace di riconsegnare alla madre il figlio. Al popolo la sua guida, quel Gesù di Nazaret passato al vaglio dalla passione e dalla morte per dar vita ad un esistenza senza limiti e barriere..

Una storia altamente simbolica quella della donna di Nain. E forse ci siamo dentro tutti, uno per uno, con la voglia matta di rimetterci in piedi e risorgere tornando alla fonte che ha il sapore di Vangelo. Come la comunità cristiana che, sui passi di papa Francesco, prepara la nuova primavera. Dopo il lungo inverno ecclesiale finalmente ci siamo! La comunità di Gesù si rimette in piedi e in cammino con fiducia sulle orme dei martiri che dettano la strada. Con Oscar Romero Lele Ramin (i due in odore di beatificazione) in prima fila...

PAROLA SENZA CONFINI di padre Filippo Ivardi (da missiogiovani)

sabato 20 aprile 2013

Un educatore, un poeta, un profeta, un amico…


(Articolo preso da www.paxchristi.it )
Vent’anni fa, il 20 aprile 1993, attraversava il suo giorno pasquale Tonino Bello, vescovo di Molfetta (dal 1985 presidente di Pax Christi). In questo periodo mi capita spesso di parlare di lui con Salvatore Leopizzi o altri partendo da Tonino Bello maestro di nonviolenza, libro a lui dedicato “con tutto l’amore di Pax Chrisi Italia” Ringrazio tutti gli amici e le amiche che mi hanno portato a lui, in primo luogo, Luigi Bettazzi, Claudio Ragaini, Giovanni Mazzillo,Tonio Dell’Olio, Gianni Novello, Giuliana Bonino, tutti i pugliesi e molti veneti. Ringrazio chi, come “Mosaico di pace”, “la meridiana”, “Luce e vita”, le ed. San Paolo, Paoline, Insieme e Messaggero, è da anni un pulsante cantiere toniniano.
Vorrei concentrarmi brevemente su un ricordo più intimo. Ciò che di lui leggo e medito mi arriva sempre col profumo della novità, col sapore della bontà, con l’odore del suo mare, con lo sguardo di tanti testimoni di pace a partire da Giovanni XXIII, di cui stiamo celebrando il 50° della “Pacem in terris”. Sento di vivere con lui un’amicizia spirituale che mi fa crescere, respirare ed espandere. Lo “vedo” operare dentro l’azione per il disarmo, il bene comune, la costruzione della famiglia umana, la vita ecclesiale, Pax Christi.
Per don Tonino “la nonviolenza è una cultura ancora debole” ma “la pace è un’arte che si impara”: un itinerario formativo permanente che riguarda la ricerca della felicità attraverso la “convivialità delle differenze” che affonda le sue radici nel mistero trinitario: uguaglianza, differenza, relazione. Per questo siamo tutti uguali, tutti differenti, tutti in relazione. E ognuno può fare qualcosa. Questo forse ci manca: camminare insieme!; risvegliare la fresca fiducia nella possibilità di cambiare; sentire la pace non solo come dovere ma come piacere di vivere assieme come membri della famiglia umana; praticarla non solo come lotta tenace, a volte troppo allarmata, ma come movimento di amicizia liberatrice, come impegno alimentato dalla sapienza del sorriso. Ce lo insegna il disegno di un bambino di Molfetta che lo immaginava in piedi su una barca a vela, in una mano la croce e nell’altra la fisarmonica. Quasi l’icona della sua passione nell’annunciare Cristo “nostra pace”, pronto a “mutare il lamento in danza” (Sal 29). 
Splendida la sua preghiera del 1982 (“La lampara”) da cui emerge una vita di fede (“la forza di osare di più, la gioia di prendere il largo”), di speranza (“spalancare la finestra del futuro, progettando insieme”) e di carità (“per chi ha fame e non ha pane e per chi ha pane e non ha fame”) che potrebbe costituire il manifesto sia del nostro itinerario associativo che del cammino ecclesiale.
Sento molto stimolante la coincidenza tra l’elezione di papa Francesco e la memoria di don Tonino. Tra i due sono molte le vicinanze tematiche: una “Chiesa del grembiule” per la lavanda dei piedi; una comunità accogliente ma pronta a “uscire da sè”; la custodia del creato e della bellezza; la pace come dono e impegno; la spiritualità della gioia; la sobrietà e la gratuità; la tenerezza e la profezia. Don Tonino ci manca. Ma la sua assenza non può bruciare se alimentiamo il suo fuoco, il roveto ardente della pace. Sono convinto che non sia solo in mezzo a noi, ma davanti. E che ci stia venendo incontro incontro per osare assieme.Compagno di strada se ci mettiamo in marcia. Beati non perché pensiamo di essere arrivati ma perché stiamo partendo e camminando.
Un fraterno abbraccio. Sergio Paronetto

lunedì 8 aprile 2013

I giovani talenti fuggono all'estero (30%)

C’è un pezzo d’Italia all’estero. Che cresce. Che lavora. Che produce. O semplicemente che tenta di realizzare i propri sogni e mettere a frutto le proprie competenze. Un flusso di persone, di giovani soprattutto, che silenziosamente lascia il nostro Paese. Quell’Italia che non riesce a dare certezze e prospettive, non investe nelle sue migliori risorse, spegnendo la fiducia e la speranza delle nuove generazioni. Così, in tempo di crisi, mentre è inarrestabile lo svuotamento di capitale umano dal Mezzogiorno, si registra un boom dell’emigrazione degli under 40 dall’Italia all’estero. Lo scorso anno, il fenomeno ha avuto un’accelerazione impressionante: gli espatri di giovani fra i 20 e i 40 anni, secondo i più recenti dati dell’Anagrafe della popolazione Italiana residente all’estero (Aire), sono passati dai 27.616 del 2011 ai 35.435 del 2012, alimentando la cosiddetta “fuga” dei talenti (o dei cervelli) dalla Penisola. Un dato che costituisce il 44,8% del flusso totale di espatrio. Lo scorso anno l’emigrazione in generale dalla Penisola ha fatto registrare un +30,1%, passando dai 60.635 emigranti del 2011 ai 78.941 del 2012. A partire sono più gli uomini (57%) delle donne (43%). A livello territoriale è la Lombardia a rivelarsi la regione che maggiormente alimenta l’emigrazione dall’Italia: ben 13.156 lombardi hanno trasferito la propria residenza all’estero nel 2012, davanti ai veneti (7.456), ai siciliani (7.003), ai piemontesi (6.134), ai laziali (5.952). Segno che questa nuova ondata di emigrazione contemporanea non riguarda più solo il Sud. Ma dove vanno gli italiani? Il continente preferito dai 20- 40enni italiani come destinazione di approdo resta l’Europa, che nel 2012 ha assorbito il 69,2% del flusso di espatri degli under 40 (24.530 emigrati). Nello specifico, la Germania si conferma la nazione più attrattiva nei confronti dei giovani italiani tra i 20 e i 40 anni: nel 2012 l’hanno scelta in 5.137. Ed è qui, a Berlino per esempio, che trovano sfogo molte idee e progetti di talenti italiani che riescono a fare impresa senza ostacoli. Al secondo posto la Gran Bretagna (4688), seguita dalla Svizzera (4103). Fuori dall’Europa, la meta più ambita sono gli Usa, scelti da 2192 giovani italiani ma vanno forte anche Argentina (2.058) e Brasile (1.768). Negli ultimi 23 anni, sono 2.320.645 gli italiani complessivamente espatriati dal Paese, 595.586 dei quali appartenenti alla fascia 20-40 anni. Il dato non ha mai smesso di crescere dal 2006, quando il loro numero superava di poco i due milioni. L’incremento degli espatri nel 2012 (+30,1%) rappresenta un vero e proprio boom, mai verificatosi nei precedenti sei anni. Gli italiani complessivamente residenti all’estero al 31 dicembre 2012 ammontavano così a 4.341.156, in crescita di 132.179 unità rispetto all’anno precedente. Un’altra Italia. Fuori dall’Italia. 
(Giuseppe Matarazzo – Avvenire)

sabato 6 aprile 2013

L'agenzia Adnkronos dice no alla parola "clandestino"

Roma - Raccogliendo la sollecitazione di Carta di Roma e la storica battaglia condotta dalla Presidente Laura Boldrini, l'agenzia di stampa AdnKronos annuncia che i suoi lanci non conterranno più la parola “clandestino” riferita alle persone immigrate. Per il Direttore dell’agenzia Marra “l'uso di un linguaggio corretto è sempre importante e ancora di più quando si tratta di fenomeni come l'immigrazione, su cui è facile alimentare paura, xenofobia e razzismo”.

da "Migrantes"

domenica 17 marzo 2013

I missionari salutano il nuovo pontefice


“Il nuovo Papa ci ha detto che l’evangelizzazione suppone zelo apostolico. E che bisogna uscire, andare verso chi ha bisogno, ad annunciare il Vangelo nelle periferie”: così il cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, ha commentato l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio, con il nome di Papa Francesco. “Siamo chiamati ad annunziare il Vangelo, soprattutto con zelo, che significa con amore” ha detto il cardinal Filoni, che ha sottolineato che il nuovo pontefice “ci ha esortato a uscire da noi stessi, a non cedere a tentazioni di autoreferenzialità, ma ad andare verso i bisognosi, a portare un annuncio di gioia e di speranza verso tutte quelle realtà segnate dalla miseria materiale e spirituale”. Come cristiani impegnati nell’opera di evangelizzazione “possiamo dare il nostro contributo al ministero petrino, continuando a profondere il nostro impegno con generosità e amore”. Raccontando la sua esperienza in conclave, il cardinal Filoni ha detto: “E’ stato molto emozionante, in quanto si avverte la grande responsabilità. Noi cardinali abbiamo ‘indicato’, non eletto, il nuovo Papa, scelto da Dio. Se Madre Teresa pregava di essere ‘una matita nelle mani di Dio’, per me essere stato un trattino nel disegno di Dio in questa elezione, è stata un’esperienza unica”. Da tutto il mondo sono arrivate dichiarazioni e felicitazioni per la nomina di Papa Francesco, che monsignor Joaquín Sucunza, vicario generale della diocesi di Buenos Aires per 13 anni a fianco del cardinal Bergoglio, definisce “uomo di grandi capacità pastorali, di fede forte, un uomo di preghiera e molto vicino ai sacerdoti, agli anziani, ai poveri, e soprattutto, un uomo che ha sottolineato l'impegno missionario della Chiesa nella nostra comunità e nella nostra città”. Dal Sudafrica, monsignor Josè Luis Gerardo Ponce de Léon, vicario Apostolico di Ingwavuma, missionario della Consolata di origine argentina, ricorda: “ Ho incontrato l’allora cardinale Bergoglio due anni fa quando mi trovavo a Buenos Aires per un periodo di vacanza. Poi gli ho inviato un email, scrivendogli con molta semplicità: “Jorge, dato che sei l’Arcivescovo del luogo ed io sono un vescovo missionario nato nella tua arcidiocesi vorrei poterti incontrare”. E lui mi ha risposto subito “Ho molto da fare ma il tempo lo troviamo”. Siamo stati mezzora nel suo ufficio con grande semplicità e con grande condivisione”.
Monsignor Ponce de Léon dice ancora che: “La scelta del no me Francesco sembra l’indicazione del desiderio del suo cuore”. Infatti “in Argentina è conosciuto come un uomo molto semplice, che cucina
personalmente e che ha invitato a pranzo il suo barbiere”. Il nome del nuovo Papa è un forte richiamo alla
figura del Poverello di Assisi ma anche a quella di san Francesco Saverio, il gesuita spagnolo diventato il più
grande missionario dell’epoca moderna che ha portato il Vangelo a contatto con le culture dei popoli d’Oriente. Così il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, da un grande Paese latino americano come
l’Argentina, incarna l’impegno della Chiesa di fronte alle sfide del mondo globalizzato. Don Gianni Cesena a
nome di Missio, Organismo pastorale della Cei, esprime felicitazioni e gratitudine al Signore per la nomina del successo re di Benedetto XVI, Papa Francesco, portatore di speranza e nuovo slancio per l’evangelizzazione.

giovedì 7 marzo 2013

SCONTRI E VITTIME IN BANGLADESH


Qualche giorno fa a Dacca, capitale del Bangladesh, e in altre zone del territorio, a seguito dell’arresto del leader politico Jamaat-e-Islami si sono susseguiti numerosi scontri che hanno portato a 42 vittime e più di 3000 feriti, vedendo la polizia da una parte e militanti di Jamaat (piccolo partito estremista islamico) dall'altra.  Gli scontri – riferisce The New Nation – hanno fatto seguito alla sentenza di un tribunale della capitale con la quale è stato condannato a morte Delwar Hossain Sayedee, vicepresidente di Jamaat-e-Islami, ritenuto colpevole di reati risalenti alla guerra di indipendenza dal Pakistan (1971). Sayedee era accusato di omicidio, persecuzione religiosa e stupro e la sua condanna segue l’ergastolo comminato a gennaio al vice segretario generale del partito Abdul Qader Molla.
A Dacca e nel resto del paese la tensione oggi è alta e le forze di sicurezza stanno presidiando tutti i punti sensibili, comprese le moschee. Jamaat-e-Islami ha annunciato nuove manifestazioni accusando di essere vittima di manipolazioni della giustizia con fini politici. In totale sono sette i suoi esponenti alla sbarra chiamati a rispondere di crimini commessi durante la guerra di liberazione nel corso della quale Jamaat-e-Islami sostenne il Pakistan.
Sono numerosi i missionari italiani presenti in Capitale che in questo momenti vivono situazioni drammatiche e di pericolo insieme al loro popolo, alla loro gente. Missio Giovani, solo lo scorso agosto 2012 ha avuto il piacere di partecipare ad una visita missionaria in Bangladesh, conoscendo ed innamorandosi del popolo bengalese. Oggi nel riportare la notizia in Italia, desideriamo esprimere vicinanza e preghiere per tutto il popolo e per tutti i missionari e missionarie che operano senza sosta sul territorio.
Articolo preso da qui.